Less is More

di ROBERTO PREGLIASCO

Semplificazione come segno d’intelligenza.

Il centro Ottico, ossia il punto di vendita fisico dove il consumatore vive la sua esperienza di acquisto, lavora su un’offerta complessa e spesso competitiva, con un valore spesso espresso dal prezzo, senza fornire al consumatore la giusta comprensione dell’importanza della ricerca del benessere visivo e conseguentemente delle soluzioni proposte e del loro valore.
Una semplice riflessione: Amazon, competitivo per prezzo e con un servizio di logistica vincente, sta aprendo anche punti di vendita fisici perché ha riconosciuto il valore dell’esperienza precedente all’acquisto. La trasformazione dei Centri Ottici è necessaria e passa in particolare dall’evoluzione dell’ottico optometrista, una figura che sempre più deve saper coniugare alla professionalità clinica, anche le competenze in ambito di impresa, comunicazione e marketing.
Mi sento di gridare a voce alta che deve assumere un atteggiamento positivo verso la ricerca di nuovi stimoli/input, alimentarsi di nuove conoscenze anche trasversali e multidisciplinari (feed-in), permettere a nuovi concetti di entrare (let-in), per poterne esaminare e valutare la validità, la natura e la sostanza, senza preconcetti.
In un contesto di business in rapida evoluzione e per stare al passo con i tempi serve che Il Centro Ottico cambi il suo approccio focalizzandosi su strategie di differenziazione per raggiungere posizioni di leadership, avere una costante predisposizione all’innovazione, ricercare una tempestività e reattività sul mercato, focalizzarsi e orientarsi alla relazione con il cliente proponendogli nuove ed emozionanti experience.
Quello che risulta fondamentale, oggi, è che il l’imprenditore in ottica osservi con occhi diversi il Centro Ottico nella logica della ricerca della semplificazione dei processi e soprattutto nella modalità della proposta al cliente in termine di prodotto e servizio.Osservo all’interno delle aziende un’organizzazione dei processi interni articolata e spesso complessa e “burocrata”. Sembra quasi di assistere a una realtà che, in una certa misura, si può identificare con l’equazione: “più siamo complessi e più siamo importanti”.
Ritengo che tutto quello che riguarda la vita aziendale, i suoi processi interni ed esterni debbano essere semplificati e resi snelli il più possibile… sempre!
Partendo dal presupposto che tutto è un processo (sia che si tratta di proporre una montatura che di eseguire un esame visivo), questo deve offrire valore, reale e percepito, sia all’azienda che al cliente. Tale valore lo si può determinare scomponendo il processo nelle sue parti, cercando successivamente di determinare quelle fasi che sono efficaci e semplificando. Vi assicuro che “ripulire” i processi nella logica della semplificazione all’interno dell’azienda richiede da parte del management un lavoro impegnativo che, se fatto con accuratezza, rappresenta una delle innovazioni più efficaci.
Lavorando in qualità di Business Coach nelle imprese e nei Centri Ottici attenti al retail del futuro (innovazione di servizio/prodotto), mantengo sempre l’idea di ricercare, a qualsiasi livello, la semplificazione e ridisegno spesso le strategie di sviluppo attraverso l’eliminazione del superfluo. Orientarsi alla semplicità implica anche la strutturazione di processi di comunicazione interni adeguati, rapidi, ed efficaci che supportino la collaborazione invece di ostacolarla.
È necessario uno sforzo cognitivo, insieme ad intelligenza ed esperienza.
Semplicità rappresenta il segno dell’intelligenza perché semplice equivale a buon senso, a equilibrio, ad armonia, al facile. Semplicità significa trasparenza e la trasparenza porta alla facilità. Questo è il motivo per cui formo i collaboratori del Centro Ottico in modo che possano considerare la semplicità un valore desiderabile e un atteggiamento mentale permanente.
Ho avuto l’occasione di potere leggere un interessante brano dello studioso e artista Bruno Munari che condivido qui a lato.
Partiamo dall’affermazione iniziale che complicare è facile, semplificare è difficile.
In effetti, tanti professionisti sono capaci di complicare, pochi di semplificare; per complicare basta aggiungere.
Ricordati che concepire una proposta consapevolmente semplice richiede un atto mentale complesso e un lavoro di formazione attento. Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere quali elementi eliminare, come fa lo scultore che grazie al suo scalpello elimina dal blocco di pietra il materiale superfluo rispetto all’opera che, nella sua mente, è contenuta nel blocco di marmo.
Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. Questo è il motivo per cui la ricerca della semplicità richiede lavoro, concentrazione, impegno, e “parecchie ore con lo scalpello”.
La decima delle dieci “leggi della semplicità” scritte da John Maeda afferma che “semplicità significa sottrarre l’ovvio e aggiungere il significativo”.
Essa si compone di due momenti essenziali:
• la sottrazione dell’ovvio
• l’addizione del significativo.
L’effetto risultante è l’aumento della “semplicità”.
L’autore ci ricorda nel suo testo che è necessario partire dalla sottrazione dell’“ovvio” senza mai bypassare questa fase e non passare subito ad aggiungere il “significato”.
La semplicità attira i clienti, velocizza la comprensione della proposta, motiva i collaboratori, riduce i costi della complicazione, consente di avere idee migliori rispetto ai competitor.
Semplificare non vuol dire banale o perdere in ricchezza di senso, ma trovare quel giusto equilibrio che consenta di ottenere il massimo risultato nel minor tempo e con il minore sforzo possibile. È importante differenziare la “buona” semplicità dal “semplicismo” e “dall’eccessiva semplificazione”.
(…) Si parla di semplicismo quando si propone un approccio “semplice” come conseguenza di una comprensione imperfetta o incompleta di qualcosa.
L’eccesso di semplificazione è invece legato a un’operazione di semplificazione troppo spinta, che induce a trascurare importanti aspetti della questione.
L’eccesso di semplificazione non conduce quindi a conclusioni errate, bensì a soluzioni inadeguate perché incomplete.
La creatività e la semplificazione (quella buona) tendono a convergere.
C’è bisogno di trovare modi nuovi e alternativi di fare le cose, ma per progettare con questo innovativo atteggiamento mentale ci vuole molta creatività. (Edward De Bono). Il punto di partenza nel viaggio della semplicità è che l’abbondanza di informazione generate dal Professionista del Centro Ottico (visive e verbali) verso il cliente genera scarsità di attenzione.
Il cliente alla ricerca di una soluzione visiva a un proprio bisogno, per scegliere, applica strategie che implicano un carico cognitivo compatibile con i limiti di elaborazione delle informazioni del proprio sistema attentivo. La decisione dell’acquisto di un occhiale da parte dell’ametrope è il risultato di un complesso di stimolazioni presenti nel Centro ottico.
Il neuromarketing, disciplina che studia cosa provano e come decidono i clienti, può aiutare gli addetti alla vendita a rivolgere l’attenzione ai propri clienti in modo nuovo, per capire meglio i loro comportamenti, i loro bisogni inespressi, cosa essi si aspettano di trovare nel centro Ottico e, soprattutto, quali sono i meccanismi mentali che guidano le loro decisioni e cosa li rende soddisfatti durante l’esperienza di shopping.
Le nuove ricerche di neuromarketing hanno evidenziato che generalmente le imprese di ottica sono orientate verso un’eccessiva ampiezza, varietà e profondità dell’assortimento. Il concetto per cui quanto maggiore sia la scelta tanto più ampia sarà la soddisfazione potenziale del consumatore non trova conferma nelle statistiche di vendita.
In numerosi Centri Ottici (spesso catene) possiamo osservare un numero impressionante di montature esposte, da vista e da sole. Peraltro spesso esposte senza una coerenza commerciale o quantomeno di senso per gli occhi del cliente. La ricchezza della proposta commerciale diventa una difficoltà di selezione da parte del consumatore, il quale a quel punto desidera affidarsi a personale specializzato, e cioè esattamente quello che spesso manca dove ci sono tantissimi occhiali negli espositori.
La ricchezza di informazione crea povertà di attenzione, e aggiungo che la povertà di attenzione genera debolezza di intenzione: quindi il cliente non acquista.
Il Centro Ottico che vuole avvicinarsi a questi concetti consigliati dalla scienza deve semplificare l’acquisto, selezionare accuratamente le proposte da proporre al cliente, personalizzare le offerte, e offrire al cliente una proposta unica, distintiva, irripetibile.
Se Gianpaolo Fabris afferma che “il consumatore ha cambiato pelle o sta cambiando pelle, in cerca di esperienze più che di prodotti, di sensazioni e di emozioni più che di valori d’uso” non vedo perché i professionisti in ottica non dovrebbero avvicinarsi a questi nuovi e facili strumenti di comunicazione.
È fondamentale anche per le imprese in ottica operare su modelli di organizzazione degli spazi di vendita disegnando percorsi in cui guidare i clienti nella logica della semplificazione (più il processo di acquisto non è complesso, più lo sforzo cognitivo, e con questo le resistenze, si attenua) e dell’ottenimento del cosiddetto engagement (lo stato di motivazione e di interesse).
Il cliente interpreta l’occhiale selezionato in base al contesto di presentazione, alla sua esperienza passata e gli attribuisce un determinato significato.
Inizialmente il processo button-up porta il consumatore a isolare alcune categorie di occhiali, successivamente inizia la fase top-down, durante la quale il cervello comincia a entrare nelle proprie “biblioteche” per elaborare ricordi, esperienze.
Inizia il processo che porta il cliente a decidere quale soluzione acquistare.
La decisione d’acquisto nasce dall’interazione tra la mente emotiva e la mente cognitiva, tra processi automatici e controllati. I consumatori utilizzano contemporaneamente e in maniera sinergica la componente emotiva e consapevole del cervello (con un modello d’acquisto che prevede precise tappe: raccolta di informazioni, confronti, valutazione del rapporto prezzo/prestazioni e dei servizi post vendita offerti).
Oggi i consumatori sono informati, cinici e online senza limiti, confrontano, selezionano e scelgono. Decidono di comprare dove e ciò che più gli conviene, online o offline.
È il momento di offrire ai clienti valide ragioni per venire presso il vostro Centro Ottico attraverso anche la personalizzazione del prodotto, del servizio, della relazione.
Il Professionista deve aiutare il cliente a orientarsi nell’ambito di un’offerta (montature e lenti) sempre più ricca e variegata.
La decisione dell’acquisto di un occhiale da parte dell’ametrope è, quindi, il risultato di un complesso di stimolazioni presenti nel Centro ottico offerte dall’ambiente (arredo) e dai consulenti alla vendita.
Ricordati che l’eccesso di scelta sottopone l’ametrope al rischio di errore e del rammarico, induce fatica, appesantisce il confronto tra le alternative e la ricerca della soluzione ottimale; insomma l’eccesso di opzioni espone a dubbi e conflitti.
Come ripeto spesso in aula l’ametrope va guidato, e offrire troppe montature cancella ogni traccia di percorso consigliato, genera confusione. Anche perché il consulente alla vendita non deve essere un “porgitore” di montature, ma guidare il cliente a ricercare la soluzione migliore per estetica, per funzionalità, etc.
Ho una soluzione da proporvi.
Non prendete subito una mezza dozzina di occhiali dalle forme più disparate per cercare di capire i gusti dell’ametrope.
Ascoltate, utilizzate domande efficaci e prendete solo tre montature dalle cassettiere alla volta, lasciate sul banco poche montature e poi iniziate il viaggio con il cliente…! Questo è già il primo passo per semplificare la scelta al cliente.
In effetti confrontare diverse opzioni di montature caratterizzate da diversa perfomance in termini di benefici è particolarmente complesso, non esiste quasi mai un’alternativa migliore di tutte le altre. Quando, ad esempio, una montatura si caratterizza per un vantaggio in alcuni benefici e uno svantaggio in altri, si pone il problema del peso da assegnare alle diverse caratteristiche considerate per la scelta. Ecco che entra in gioco la capacità del professionista in ottica che deve essere in grado di capire la “mappa” del cliente sollecitando le sue emozioni.
Parlo di un’esperienza che, anziché essere vista come un mosaico di tanti minuscoli tasselli, deve essere tradotta in un percorso strutturato dove ogni scena è scritta con attenzione.
Iniziamo a pensare al Centro Ottico non solo come contenitore di montature e lenti da proporre al cliente, ma come generatore di esperienze e di emozioni.
La shopping experience diventa per il cliente un processo di apprendimento emozionale nell’ambito del percorso narrativo strutturato dai consulenti alla vendita.
La dimensione emozionale crea le condizioni per rendere l’esperienza dello shopping piacevole, coinvolgente e facilita la decisione di acquisto. Le emozioni vendono; le emozioni favoriscono il ricordo dell’esperienza e tutti noi, “da oggi”, dobbiamo diventare progettisti di semplici shopping experience da offrire ai clienti.
Il professionista in ottica (se davvero professionista) deve lavorare in termini di qualità e di cura, aggiungere e proporre valore diventando narratore di storie semplici e coinvolgenti. Ricordando che i due attori protagonisti sono prodotto e servizio in un perfetto equilibrio di intervento sulla scena.
È da ricordare il fondamento per cui tra due proposte di acquisto di uno stesso oggetto vince quella espressa in maniera semplice.
Quindi dobbiamo orientarci alla semplificazione attraverso la specializzazione e il pensiero strategico.
Quest’ultimo richiede apertura e grande flessibilità. Le variabili di tale pensiero strategico sono tre:
• Una capacità creativa importante
• La ricerca di sintesi e di equilibrio
• La capacità di orientare le scelte con una percezione al futuro
Ai Professionisti che desiderano confrontarsi, che cercano spunti per migliorare, vorrei suggerire, traducendoli il più possibile in “passaggi logici” e semplici, quattro aree che utilizzo nella mia attività di supporto alle aziende:
1. Consapevolezza
2. Importanza di definire obiettivi
3. Responsabilità e decisione
4. Piani d’azione, (allenamento e sperimentazione).
La consapevolezza è la capacità di osservare e comprendere la realtà per come è davvero, al di là dei nostri schemi mentali, dei pregiudizi e dei nostri punti di vista guardando se stessi e l’azienda con occhi “più aperti”, da nuove e molteplici prospettive. Ognuno di noi ha livelli di consapevolezza differenti a seconda degli ambiti d’azione, o di quelle capacità personali che sono state più o meno sviluppate nel corso della vita professionale. Gli ambiti in cui siamo più deboli sono spesso quelli su cui abbiamo sviluppato poca consapevolezza.
Definire obiettivi: implica una buona comprensione di ciò che si desidera ottenere. Solo su una buona base di consapevolezza si possono identificare i desideri da realizzare e quindi definire gli obiettivi, che rappresentano la fase fondamentale di ogni impegno di crescita e cambiamento. Un obiettivo che vi potete dare è arrivare a semplificare i processi a partire dalla proposta al cliente.
Responsabilità e decisione: identificato un obiettivo, è necessario mettere in pista impegno e volontà, fare i conti con la propria disponibilità a lasciare indietro qualche schema che non funziona e cercare nuove soluzioni.
Piani di azione: significa mettere a fuoco azioni e strategie utili a ottenere il risultato ambito. Ogni imprenditore deve chiedersi:
1. Cosa deve smettere di fare il centro ottico, cosa deve abbandonare, a cosa deve rinunciare, o di cosa deve sbarazzarsi?
2. Cosa devo eliminare nell’arredo del Centro Ottico per semplificare il percorso del cliente e migliorare la comprensione dell’offerta?
3. Analizzare l’esposizione e valutare la modalità organizzativa: per materiale? Per colore, per tipologia?
4. Cosa deve entrare di nuovo che porta innovazione e valore?
5. Cosa devo fare per determinare armonia, semplicità, ritmo.
Ricordiamoci che passare da uno stato X (complesso) ad uno stato Y (semplice) richiede la costruzione di un percorso che prevede un piano d’azione strutturato nel tempo. Io consiglio di strutturare il piano d’azione mensile. Attenzione! Se non si sa dove andare, ogni passo non porterà a nulla e risulterà inutile.
È necessario focalizzarsi su quale sia la situazione di partenza (fare una buona diagnosi), su quale sia la reale situazione desiderata o di arrivo, e sulle risorse necessarie per colmare il gap. Spesso significa, anche, valutare le incongruenze, le dissonanze, i veli del non detto.
Quindi, la prima operazione da domani è entrare nel punto vendita e iniziare la prima fase: la sottrazione dell’ovvio, eliminando il superfluo con quella che definisco una riduzione ragionata, quello che genera confusione. Pensiamo al cliente come ad un consum-attore, da rispettare e da conquistare non solo con sconti speciale e offerte pazze ma attraverso il racconto di storie vere. Orientiamoci alla conquista della fedeltà e della relazione nella consapevolezza di farci osservare concretamente utili e interessati al benessere visivo delle persone.
C’è un grande spazio da conquistare. Siamo fortunati. Giochiamoci la partita della semplicità e dell’esperienza “vera” e “personalizzata” nonostante Amazon, nonostante gli sconti, nonostante qualche attore “poco corretto”.
Semplice, no?