Le parole visive/le immagini testuali

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di CRISTINA BIGLIATTI

In occasione della 56° Biennale d’Arte di Venezia, all’interno delle Corderie dell’Arsenale, è visibile un muro composto da 177 ripiani, ognuno dei quali ospita una coppia di libri. A prima vista può apparire quasi come un’installazione minimale, asettica, impenetrabile, in realtà necessita del contributo del visitatore per essere rivelata. Ogni giorno, infatti, per tutta la durata della manifestazione, vengono presi due volumi: uno è messo a disposizione del pubblico, mentre l’altro viene letto da quattro attori durante la performance mattutina tenuta presso i Giardini della Biennale.
Alla sera vengono riposti sui loro ripiani e contrassegnati dalla data, in modo da relizzare una timeline che ricopre tutto il periodo della Manifestazione Internazionale d’Arte. Ma non si tratta di libri normali. Ciò che li distingue è che le pagine sono incollate tra loro, quindi per poterli leggere bisogna utilizzare il tagliacarte messo a disposizione del fruitore, permettendogli di compiere un gesto liberatorio che è già una performance di per sé. Un’altra caratteristica che li rende unici è che in realtà si tratta di album fotografici, con la differenza che le fotografie sono sostituite dalle loro rappresentazioni scritte. Consistono in veri e propri romanzi, che raccontano le storie e i momenti di ben 10 anni delle vite degli artisti che li hanno realizzati, attraverso le visioni che le parole riescono a suscitare. L’opera si intitola “Latent Images” e i suoi autori sono Joana Hadjithomas e Khalil Joreige.
I due artisti lavorano insieme da molto tempo e negli ultimi 15 anni hanno cominciato a concentrare la loro ricerca sulle immagini, in particolare sulle raffigurazioni e la storia del loro Paese d’origine, il Libano.
Questo progetto artistico comincia a Beirut verso la fine degli anni ‘90, periodo durante il quale avvertono la sensazione di essere accerchiati da una moltitudine di impulsi visivi. Per esorcizzare questa percezione, iniziano a fotografare ciò che li circonda. Tentando di individuare altre possibili relazioni tra le immagini, inventano un esercizio di memoria visiva: cercano di ricordare le fotografie contenute all’interno dei rullini non ancora sviluppati, per poi descrivere nero su bianco i ricordi che riaffiorano. Questo gesto artistico permette loro di rimuovere le immagini da una sovrabbondanza delle stesse, fino ad arrivare ad un punto di invisibilità. Non ci sono più immagini reali, esistono solo nella mente di chi legge quelle pagine. Il problema a quel punto è rendere di nuovo visibili quelle immagini latenti, ridonandogli il potere della rappresentazione. Ed ecco che quindi gli artisti sentono il bisogno di realizzare delle vere e proprie raccolte di immagini testuali e di condividerle con il mondo.
Joana e Khalil sfruttano il potere innato della parola scritta, di farci visualizzare forme e colori che in quel momento non vediamo realmente. L’installazione è così in continua evoluzione. In questo modo “Latent Images” diventa lo specchio di qualcosa di reale, estremamente concreto, ma capace di essere reinterpretato all’infinito a seconda di chi lo vive.