Cyntia Concari e Roberto Marcatti – Una nuova sfida a ritmo di design

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L’industrial design sfocia in un marchio che gioca con le linee rette: Milanocentrale.

Dal 2012 c’è un progetto nel mondo dell’occhiale con un segno distintivo forte: il ciliare dritto e netto.
Milanocentrale, questo il suo nome, da febbraio di quest’anno ha mutato la compagine societaria accogliendo due personaggi che arrivano direttamente da un mondo affine: il design nella sua forma primordiale.
Loro sono Roberto Marcatti, Amministratore Unico della società, e Cyntia Concari, Project Manager. Li accomuna un forte impegno nel design sociale (alcuni anni fa anno creato l’associazione no profit “H2O nuovi scenari per la sopravvivenza a partire dall’elemento acqua”) e la visione dell’occhiale come frutto del design democratico e summa di bellezza, tendenza ed innovazione.
La loro mission?
Realizzare “un paio di occhiali per il restante 90% del mondo che non si occupa di design”. Conosciamoli attraverso le loro parole.

Ambedue vantate un background nel mondo del design. Avreste voglia di “presentarvi” ai nostri lettori?
Roberto Marcatti. Classe 1960, sono laureato in architettura. Ho fatto parte del Gruppo Zeus e lavorato con grandi nomi del settore moda tra cui Giorgio Armani, Fiorucci, Avirex, Lee… Attualmente insegno al Politecnico di Milano, e sino a qualche mese fa ho fatto parte del Comitato Esecutivo di ADI – Associazione per il Disegno Industriale.
Dieci anni fa, insieme a Cintya abbiamo pensato di occuparci di design sociale attraverso la costituzione dell’associazione no profit “H2O nuovi scenari per la sopravvivenza a partire dall’elemento acqua”. Cintya Concari. Sono una outsider del design. La mia condivisione, come ha detto Roberto, è dovuta all’interesse di occuparmi della cultura del progetto attraverso le tematiche ambientali ed etiche.
Da ciò è nata la curiosità di occuparmi di funzione ed estetica.

A febbraio avete rilevato il 50% del brand Milanocentrale. Quali sono stati gli elementi propulsori verso un settore che non avevate mai esplorato?
C.C. La curiosità, il partire da un micro cosmo per coniugare bellezza, tendenza, innovazione, sostenibilità su un accessorio alla portata di tutti, un oggetto della quotidianità, sia per chi ne ha bisogno per migliorare le sue performance ottiche, sia per chi ricerca un design glamour ed essenziale.

Come e quando è nato Milanocentrale?
C.C. La società Milanocentrale è nata alla fine del 2012, con un’altra compagine societaria, e nell’attuale, oltre a noi due, ci sono anche Lucia Panarello che si occupa delle pubbliche relazioni, e Maurizio Duranti, designer e art director della collezione.

Qual è la filosofia-base?
R. M. L’idea principale, non potendo competere con i giganti dell’ottica, è sempre stata quella di essere una società di nicchia, con un buon prodotto, ben disegnato, fatto totalmente in Italia, proprio per ribadire quel concetto a noi tutti caro del Made in Italy.

Quali sono i segni distintivi dei vostri occhiali?
R.M. Normalmente tutti ci dicono: “Ahh! Sono gli occhiali con la riga dritta nella parte superiore”. Ed è così: rispetto ad altri prodotti sul mercato i nostri occhiali vengono riconosciuti per una forte identità.

Come si posizionano nel comparto dell’occhialeria?
C.C. Non ci sono mai piaciute né le categorie, né i comparti, questo perché vuole dire restringere e non allargare i nostri utenti-clienti, che condividono con noi, non solo l’idea di Milanocentrale, ma anche una modalità di comportamenti e uno stile di vita.

Il tema del “good design” è molto sentito. Come lo vivete nel progetto-occhiale?
R.M. Il good design secondo noi non corrisponde sempre ad un occhiale griffato, brandizzato, ma dovrebbe esprimere lo sforzo di un’idea, di una ricerca formale e materica, al di là del nome che porta sull’asta. Una montatura semplice nelle forme e diretta nella sua identità. Quasi tutti gli architetti e i designer portano gli occhiali, ed un esempio per noi calzante è l’occhiale indossato da Le Courbusier, di forma rotonda, di colore nero, ben proporzionato, con una “calzata” perfetta.

Parliamo di distribuzione: come siete geograficamente posizionati in Italia? Quali i futuri sviluppi?

R.M. Strano a dirsi il mercato da Roma in giù è forse molto più attento alle nuove tendenze e ha risposto in modo più soddisfacente. All’estero i maggiori contatti sono con il Giappone, e con alcuni paesi europei quali Francia, Olanda e Belgio. Stiamo iniziando a sondare il mercato russo e quello americano, ma siamo in attesa di un partner che possa condividere anche le future scelte delle collezioni. Questa scelta nasce dal fatto che non siamo fatti tutti in modo uguale, e la nostra frontiera potrebbe anche partire dalle forme primarie della nostra collezione per arrivare ad un occhiale personalizzato ad hoc. Le tecnologie oggi ci consentono di poter fare anche questo passo in avanti.

Com’è strutturato il materiale per il punto vendita?
C.C. Ai nostri punti vendita a seconda dello spazio, vengono dati in comodato espositori industriali triangolari in lamiera grezza, dei cartonati con l’immagine di grandi personaggi quali James Dean, Elvis Presley, Marilyn Monroe e tanti altri.

Quali sono le attuali strategie di marketing?
R.M. È strano parlare di marketing in una nuova società dove tutti non hanno mai avuto un buon feeling con il marketing stesso. D’altro canto un grande maestro del design italiano quale Enzo Mari, durante un’intervista che gli feci per il libro edito “Parola di designer” (Abitare Segesta, 1994), che scrissi a quattro mani con Paolo Frello, mi disse:”Progettare è un atto di guerra”. Dove si è soli a difendere il proprio progetto a discapito delle teorie di marketing e di mercato.

Come si svilupperanno per il futuro?
C.C. Stiamo cercando nuove strade, nuovi modi di comunicazione e condivisione del progetto, e perché no, anche nuovi soci, per implementare le energie e allargare l’operatività su un oggetto semplice e di uso comune come l’occhiale. A livello espositivo è in atto un’importante strategia che vede l’occhiale protagonista anche di alcune fiere extra settore (White, Fuorisalone, Pitti).

Come si inserisce il vostro marchio nel nuovo corso dell’eyewear?
R.M. Il cambiamento velocissimo del mondo in cui viviamo non ci consente e non vogliamo inserirci in una logica solamente strategica. Preferiamo analizzare e contestualizzare di volta in volta le cose che ci vengono proposte e alle quali partecipiamo. Ci piacerebbe lavorare su un’ipotesi di progetto molto attuale: fare un paio di occhiali per il restante 90% del mondo che non si occupa di design

A quali saloni dell’ottica parteciperete nei prossimi mesi?
C.C. Molto probabilmente parteciperemo al “Mido 2015” e stiamo vagliando l’ipotesi di essere presenti anche a Parigi all’evento “ToietMoi”

La nostra rivista si rivolge agi ottici: indicateci le motivazioni per cui dovrebbero diventare vostri partner…
R.M. Perché oggi pur avendo tanti occhiali, il mercato è monopolizzato solamente da alcune grandi aziende; ciò ha determinato un appiattimento di proposte, di novità, d’innovazione del linguaggio e delle forme. Invece i piccoli produttori, i giovani brand possono e devono andare nella direzione opposta: è l’unica loro chance per far capire le reali valenze e possibilità in un mercato bloccato. Per noi che ci occupiamo anche di progetti sociali, il progettare un occhiale ben disegnato, performante, con materiali innovativi e rispettando l’ambiente e le sue risorse, con delle lenti straordinarie, ma con un prezzo al pubblico corretto sarebbe un bel traguardo. Teniamo molto al rapporto diretto o tramite i nostri agenti alla nostra clientela, ed è proprio dal condividere progetti e opportunità con loro che devono “uscire” da noi altri progetti di occhiali sostenibili, a partire dalla produzione per arrivare al negoziante per un vero design democratico.
Il design è una disciplina che parte dal concetto di dover migliorare la vita dell’uomo, anche con i piccoli oggetti, perché dietro ad ogni oggetto c’è un progetto.