Occhio ti manipolo!
Manipolazione linguistica nella pubblicità
Sempre di più si sente parlare di manipolazione, ma pochi sanno cosa significhi in comunicazione e nella vendita. Tratterò qui espressamente l’argomento della manipolazione linguistica.
Può sembrare una pratica complessa, propria di pochi adepti, mentre non ci accorgiamo che ne siamo tutti vittime inconsapevoli, grazie soprattutto al dorato mondo della pubblicità.
Se c’è un settore che ha compreso per primo lo sconfinato potere manipolatorio della lingua, quel settore è proprio quello dell’advertising. Immagini e parole, mescolati con astuzia a musica ed emozione, sono in grado di attrarre la nostra attenzione, farci nascere un bisogno e, poi, come d’incanto soddisfarlo. È l’era del consumismo, del libero mercato! E, dunque, è inutile lamentarsi. L’abbiamo voluto e creato noi. L’alternativa è sempre quella: smettere di consumare.
Ma, a quanto pare, non ci riescono neanche i più incalliti capopopolo reazionari, che si vestono saltuariamente di qualche colore politico.
A noi interessa maggiormente il meccanismo di funzionamento della manipolazione che la pubblicità sfrutta per venderci quello che vuole. In realtà, i fattori sono tanti, ma noi ci concentreremo qui sul linguaggio, che ne costituisce comunque una parte rilevante.
Parto da un esempio: tutti noi siamo affezionati ai nostri capelli. Le donne in particolare. Così, potendo spendere qualche euro in più, invece che comprare uno shampoo qualsiasi al supermercato, lo acquistiamo in farmacia, certi che la qualità del prodotto sia superiore.
Scegliamo, nel dettaglio, un prodotto su cui campeggia in bella vista la scritta “clinicamente testato” e subito ci sentiamo più tranquilli.
Beh, se è testato, siamo a posto. E via!
Fermiamoci un attimo e ragioniamo: cosa significa quella scritta? Che quel prodotto è stato sottoposto ad un non meglio specificato test in una non meglio specificata clinica, giusto? Bene. Sì, ma com’è andato quel test? Se l’azienda avesse sottoposto 1.000 persone ad un lavaggio col proprio shampoo e ne fosse risultato un solo caso di dermatite acuta, magari indipendentemente da quello shampoo, sarebbe grave? A livello statistico lo 0,1% non è rilevante. Ma se quell’azienda oltre che scrivere “clinicamente testato”, aggiungesse “su 1.000 persone sottoposte ad un test clinico, si è riscontrata una dermatite acuta”, voi comprereste quel prodotto con medesima leggerezza? Io no.
E, allora, perché mai ci accontentiamo della dicitura “clinicamente testato” senza chiederci quel test come sia andato? Beh, è scontato, dirà qualcuno.
Sarà pure scontato, ma io non mi fido. Non più. Andiamo oltre.
Il già citato “Al gusto di cioccolato” di Matteo Rampin prende il titolo da un esempio eclatante: in centinaia di aziende esiste l’area relax, dedicata al tè (ricordo che qui l’accento è grave o aperto, se no “te” diventa il pronome personale), caffè e merendine.
Scomparso il bar aziendale, oggi vige l’angolo delle macchinette. Se osservate bene cosa c’è scritto su questi distributori, vi accorgerete che, salvo qualche rara eccezione che risulta fuorilegge, le bevande sono descritte così: caffè (e questo è corretto), bevanda al gusto di tè al limone, bevanda al gusto di cioccolata calda e così via. Guardate bene: la scritta “bevanda al gusto di” è piccola, mentre le parole “tè al limone” sono belle grosse. Il nostro cervello viene manipolato dalla lingua e registra la parola scritta grossa ossia tè o nell’altro caso cioccolata.
Bene, sarà utile che voi sappiate che ciò che esce da quel distributore non è tè né cioccolata.
Non può esserlo perché gli ingredienti non sono freschi (costerebbero troppo altrimenti), al contrario del caffè che invece è caffè vero. Bene, c’è una normativa che impone questa prassi e quasi tutte le aziende di distribuzione di bevande si sono adeguate.
Già, ma noi cosa beviamo? Ma perché prendiamo una bevanda al gusto di tè al limone e la chiamiamo “tè” se tè non è? In realtà, dal distributore esce acqua riscaldata che, a contatto con una polverina sintetica immersa nel liquido, sprigiona un gusto che assomiglia molto al tè al limone.
È roba sintetica e la chiamiamo tè! Così è.
Quanti ancora non sanno che il dentifricio non serve a pulire i denti, ma solo a rinfrescarli? La vera azione pulente è rappresentata dal corretto movimento dello spazzolino. E allora perché il dentifricio? Perché, arricchito di mentolo, dà la sensazione di freschezza, che fa percepire la nostra bocca più pulita. Touché.
Osservate e scoprirete mondi di manipolazione: per esempio, distributori di benzina su cui campeggia la scritta “SCONTO -1,5 centesimi, dove fra i due numeri c’è una virgola grossa quanto uno spillo (anche io l’ho messa, si vede?). Capirete che fra 15 centesimi di sconto al litro e 1,5 c’è una bella differenza!
E ancora, titoli di giornale: “Il partito X non dice sì al politico Y”, perché scrivere “dice no” stava male. Aziende del settore food che aggiungono l’aggettivo ‘light’ ormai a qualsiasi ingrediente, coccolando l’aspirazione dietetica di ogni consumatore.
Per non parlare dei suffissi ‘eco-‘ oppure ‘bio-‘ senza i quali ormai non si può più vivere.
Faceva giustamente notare un noto studioso italiano: “Come fa oggi il comportamento di un’azienda ad essere ‘eco’? Significa che fino a ieri non lo era?” e così via. Fino ad arrivare all’esempio maestro, che mi ha toccato da vicino: mio padre già 20 anni fa montava un impianto gpl sulle sue auto, convinto di risparmiare.
Li caricava con le bombole, con notevole fatica.
Tutti gli amici lo sfottevano, dandogli del ‘genovese’ e lo consideravano non certo cool, come si direbbe oggi. Bene, i tempi sono cambiati velocemente, e quello che ieri era un comportamento da ‘sfigato’ oggi è diventato un comportamento “eco-compatibile con l’ambiente”. Le auto dotate di impianti gpl sono letteralmente decuplicate, possono circolare durante le chiusure del traffico e ne è nato un business enorme. E la pubblicità? Beh, ne ha approfittato!
Una nota casa automobilistica ha tappezzato le nostre città con cartelloni con scritto “Modello tal dei tali, con impianto gpl di serie. EcoChic!”
Come ‘EcoChic’? Fino a pochi anni fa era da sfigati e oggi mi invogliano (manipolano) a comprare il gpl perché è chic? Pardòn, EcoChic!
La pubblicità, insomma, è maestra di manipolazione.
Credo sia compito di ogni buon comunicatore saper riconoscere queste azioni poco etiche e smascherarle quando serve. Oppure continuare a consumare ma in modo consapevole, perché la lingua si presta molto facilmente ad esprimere un lato della realtà, celandone l’altro.
Da gennaio in libreria “Occhio,ti manipolo” di Roberto Rasia Dal Polo
www.ilpresentatore.it